20.7.14

-il mio primo.

stavo lì fuori.
lui dentro.
non so quale lingua parlasse.
io fumavo e guardavo nel vuoto.
lui avrebbe potuto scegliere esattamente il disco perfetto per quel momento.
io mi limitavo ad immaginarlo.
vedevo il vuoto nelle margherite e le margherite nel vuoto.
la commessa mi fissava come se fossi una delle tante persone perse che incontri a Berlino nelle strade.
io l'ho vista sott'occhio.
ma non ho voluto guardarla.
avevo bisogno di un attimo di nulla per fermare le emozioni e i pensieri.
le aspettative.
forse ricordi di averle tenute a zero o addirittura sotto.
sotto forzatamente.
lui ad un certo punto mi ha sorriso.
io non ho saputo come rispondere.
ho aspettato.
pensavo alla scena di lui che si guardava nel portafoglio come per cercare qualcosa di veramente piccolo.
così mi sono girata come se fosse stata una di quelle decisioni molto pensate e ponderate.
mi sono girata e ho guardato alcune bici ferme.
lasciate lì.
poi ricercando la sua figura tra le piante e gli scaffali ordinati di foglie, ho visto un vaso viola e dentro c'era un girasole.
solo.
un girasole da solo.


[mio figlio e il girasole]
piantato.
era una pianta.
non stava comprando fiori ma una pianta.
il suo sguardo profumato, sorridente e sereno insieme alle sue labbra belle e dolci mi volevano dire qualcosa.
ma tutto era tenuto al minimo.
poi mi ha raggiunta fuori.
io vedendolo mi sono detta che poteva anche essere il momento di uscire dallo stato di trans in cui stavo dondolando immobile.
era raggiante.
raggiante come un girasole.


il mio primo girasole.

per me.
per me da lui.

in un piccolo vaso giallo fluo che a me, persa in quello stato tra l'innamoramento e il soffocamento delle aspettative, era parso viola.

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